Il verbale "nascosto" di Angelo Siino su Berlusconi
Il 'ministro dei Lavori pubblici' di Cosa nostra è morto a luglio ma la cronaca ne viene a conoscenza solo a novembre. Un suo verbale del 1999 unisce Ndrangheta, Cosa Nostra e Berlusconi
Aggiornamento del 29.11.21
di Simona Zecchi
Nel ritratto preciso che su AdnKronos la giornalista Elvira Terranova fa dell’ex mente economica dei corleonesi, guidati da Totò Riina, Angelo Siino, morto a luglio ma comunicato dalla famiglia soltanto ieri 26 novembre, spunta l’autobiografia che l’ex pentito ha scritto con il suo avvocato Alfredo Galasso, Vita di un uomo di mondo, l’autobiografia senza precedenti del più famoso pentito di mafia edito da Ponte alle Grazie nel 2017. Un libro che avrebbe dovuto meritare la giusta attenzione già alla sua uscita per le tante notizie che contiene, sebbene certo riferite in prima persona, e tutte dunque da incasellare in contesti specifici e supporti cartacei, come proviamo a fare qui.
Molti i fatti lì sviscerati dal punto di vista di chi li ha vissuti in prima persona, come a esempio quelli riguardanti il faccendiere, banchiere e criminale italiano Michele Sindona (tessera P2 nr. 501) morto il 22 marzo 1986, dopo 56 ore di agonia e avvelenato… da un caffé1.
Nel capitolo Il viaggio in Sicilia di Michele Sindona, Siino supportato dalla penna del suo avvocato, afferma: “Compresi presto che la visita in Sicilia di Michele Sindona era stata organizzata da tempo ed era considerata molto importante, sia nell’ambiente mafioso che in quello massonico”. E ancora “…nell’estate del 1979, lo scopo dichiarato e a me comunicato del viaggio in Sicilia di Michele Sindona era duplice: la simulazione di un rapimento da parte di non precisati terroristi e l’organizzazione di un golpe che avrebbe portato all’annessione dell’Isola agli USA, la cinquantunesima stella della bandiera americana”. Progetto politico, questo, che già al momento della liberazione italiana avvenuta soprattutto per mano americana dalle ceneri della Seconda guerra mondiale aveva subito visto un suo tentativo di dispiegarsi e che porterà anche al famoso eccidio di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947. Tentativo e progetto di golpe che Cosa Nostra, e in generale le mafie su tutte la ‘ndrangheta, hanno imbracciato numerose volte: tracce consistenti, anche giudiziarie, finite poi in archiviazioni si sono avute, con declinazioni diverse, via via sino almeno agli anni 90. La questione americana nelle grandi vicende italiane irrisolte, infatti, torna sempre come un fantasma e come i fantasmi si annida, agita e persiste senza poter ottenere maggiore concretezza2. Fino a a ora, poi vedremo.
Nello stesso capitolo della sua autobiografia, Siino riferisce dei rapporti fra Cosa Nostra e ‘ndrangheta, rivelatisi poi vero motore delle vicende stragistiche degli anni della prima Repubblica (vedi processo Ndrangheta Stragista ora in corso d’appello) e le cui verità sono tuttora al fotofinish di procure e giornalisti, dopo “soli” trent’anni dai fatti: “i rapporti tra Cosa Nostra e la ‘ndrangheta a quel tempo (fine anni 70 nda) consentivano ai capimafia siciliani di dare veri e propri ordini ai calabresi” chiosa Siino nel capitolo. Rapporti le cui dinamiche di forza si ribalteranno, come vedremo dai contenuti prossimi di questa newsletter3, e che darà luogo alla nascita di una struttura riservata, indagata da chi scrive nel volume La Criminalità servente nel Caso Moro (la nave di Teseo, 2018).
A proposito di questi rapporti, però, voglio portare all’attenzione di chi leggerà e vorrà condividere questo primo approfondimento, l’esistenza di un verbale di interrogatorio datato 16 novembre 1999 condotto dalla DDA di Perugia che ha sentito Siino sia nell’ambito del processo contro Giulio Andreotti4 (che tra l’altro in tempi già sospetti ma ancora poco indagati sulle fortune del banchiere Sindona aveva definito lo stesso come “il salvatore della Lira”) sia in altri procedimenti. Il verbale (la cui esistenza viene resa nota nel 2013 dal deposito della sentenza comminata a Marcello Dell’Utri dalla Corte d’appello di Palermo5), tra le altre cose fa il resoconto di un viaggio, ma non un viaggio qualunque. Riferisce Siino:
“(…) mi sono recato a Milano insieme al Cafari6 ed al Bontate7 per un incontro con alcuni personaggi della locride che avevano intenzione di sequestrare un familiare se non addirittura il figlio di Silvio Berlusconi. La presenza del Cafari era motivata dal fatto che il Cafari era personaggio molto vicino a Paolo De Stefano8 che in quel momento non era disponibile perché era latitante o arrestato. L’incontro come ho già riferito fu abbastanza “aspro”. Al ritorno in macchina, il Bontate ebbe modo di esternare la sua contrarietà minacciando questi personaggi di morte; disse testualmente “gli farò fare la stessa fine che Masino Scaduto fece fare ai loro paesani”. Si riferiva a Tommaso Scaduto che per diverso tempo resse la famiglia mafiosa di Bagheria e che era coinvolto nella strage della locride. Durante il viaggio di ritorno a Roma io Bontate e Cafari abbiamo avuto un incontro in un’area di servizio oggi dismessa alle porte di Roma (mi pare Soratte) con Pippo Calò, come ho già riferito in udienze publiche. Colloco questo episodio orientativamente nella seconda metà degli anni settanta”.
La missione si era ritenuta necessaria come manovra di intermediazione per non permettere il sequestro di un familiare dell’imprenditore (oggi indagato insieme a Marcello Dell’Utri a Firenze nelle indagini relative ai mandanti occulti delle stragi e gli attentati omicidiari sul continente nel 93) poi divenuto Presidente del Consiglio italiano e contro il quale Bontate si era opposto. Di tentativo di sequestro si è sempre riferito e confermato ma solo da parte siciliana. Nelle carte al processo contro Dell’Utri i rapporti di costui con le cosche al vertice della ‘ndrangheta vengono infatti fatti emergere. Per questo considerare, come sempre è stato fatto, le due organizzazioni come cose separate è stato un abbaglio.
Quello che è necessario mettere in luce in questo racconto, inserito in un verbale, sono dunque i rapporti fondanti che emergono tra massoneria, vertici della criminalità organizzata, mondo imprenditoriale e politico. Leit motiv strutturale che rincorre gran parte delle vicende irrisolte di questi lunghi anni senza verità.
Tornando all’autobiografia di Siino, invece, questa si conclude quasi in ultima battuta con il racconto dell’ex tesoriere mafioso sulla vicenda mafia-appalti che tanto divide oggi mondo giudiziario, opinione pubblica e vittime delle mafie in contrapposizione con il più noto processo trattativa stato-mafia.9 E’ una storia che ha lacerato il mondo dell’antimafia come forse poche altre cose in questi anni. Nel capitolo però Siino, fonte al tempo del capitano De Donno afferma quanto segue:
“Risposi (al procuratore Giovanni Tenebra che lo interrogò a Roma quando scoppiò il caso mafia appalti nda) con la maggiore decisione possibile che non avevo mai parlato con De Donno di Lo Forte (allora procuratore di Palermo nda) e Pignatone (sostituto procuratore a Palermo negli anni del dossier nda) e che invece era stato lui a sollecitarmi, senza alcun esito, a dir male dei due magistrati”10 .
Il collaboratore, si legge sempre in questo capitolo della sua autobiografia, fu più avanti raggiunto da una chiamata con “voce volutamente alterata” che lo “invitava a prendere contatti proprio con il capitano De Donno che di lì a poco mi avrebbe cercato”. Non fu mai possibile rintracciare la telefonata e dell’incontro non si fece nulla. E’ chiaro dalla lettura delle pagine del libro che Siino intepretasse quella telefonata come una minaccia. Più avanti il colonnello Meli del Ros annunciò la diffusione di trascrizioni di intercettazioni che avrebbero smentito Siino sui riferimenti a Lo Forte e Pignatone. Ma, come emerge dalla lettura del libro scritto con il supporto dell’avvocato Galasso, poi risultò che in effetti le intercettazioni di cui parliamo non contenevano quei nomi.
E’ solo una parte della contorta storia di questo dossier che sarà bene in altre sedi chiarire. Ma intanto qui - ricordando la figura e il ruolo di questo tesoriere della mafia (oggi il suo successore Vito Palazzolo è scomparso pare dai radar delle indagini) - far riemergere questo aspetto insieme al verbale del 99, poco noto, non sembra cosa poco significativa.
Vale la pena inoltre aggiungere, vista l’attualità dell’argomento per la udienza che si è svolta il 26 novembre stesso nel processo sul depistaggio di Via D’Amelio, quanto scrive la giudice Gilda Lo Forti nel dispositivo di archiviazione sulle indagini che coinvolsero De Francisci, Lo Forte, Pignatone, De Donno, Giammanco e Siino, proprio in merito a queste intercettazioni:
«Ciò che desta, tuttavia, ragionevoli stupore e perplessità è il mancato rinvenimento dell’originale che, secondo l’Ufficiale, sarebbe andato disperso nel corso delle operazioni relative ad un suo trasloco: tale giustificazione non appare, per vero, affatto convincente, tenuto conto che, dalla relazione a firma De Donno del 6.02.1999 (cfr. Faldone IV dei già citati atti successivi) risulta, inoltre, che il detto originale sarebbe andato smarrito, proprio, nelle settimane precedenti quando, invece, il De Donno avrebbe dovuto avere già adottato tutte le cautele possibili per la conservazione del detto reperto (…) Nè è pensabile che l’Ufficiale non si fosse reso conto della rilevanza del detto originale, in considerazione delle gravi accuse di mendacio mossegli dal dott. Lo Forte, accuse che avevano determinato la instaurazione a suo carico del procedimento per calunnia. E’ dunque inspiegabile tale comportamento che, a tutto concedere, apparirebbe improntato a leggerezza e superficialità tali da risultare non del tutto compatibili con la personalità del De Donno, ufficiale di provata esperienza.»
Insomma la giudice non è apparsa molto convinta delle spiegazioni fornite su queste registrazioni. E lo scrive nero su bianco. Mentre, ancora più grave, prosegue la Lo Forti nel dispositivo di archiviazione, con il riferire del sospetto su una eventuale manipolazione che sarebbe stata fatta su quelle registrazioni dove, tra l’altro il Siino sembra non aver risposto in maniera naturale11, per ragioni diverse ma nelle quali appunto il sospetto di manipolazione dall’originale la giudice include.
Indicazione che sembra così combaciare con quanto scrivono Galasso e Siino nel libro. La vicenda mafia & appalti da sempre motivo di contrasto nell’antimafia come dicevamo merita un lavoro a parte che sarà altrove affrontato. Ovviamente cari lettori di questa newsletter ne sarete informati.
Il 23 luglio 1987 la magistratura di Pavia archivierà la morte di Sindona sposando la tesi del suicidio, avvenuto a pochi giorni dalla sua condanna all’ergastolo per l’assassinio del curatore fallimentare di una sua banca, Giorgio Ambrosoli avvenuta nel 1979. Mentre negli USA era stato condannato a 25 anni per bancarotta fraudolenta.
Di Gladio sempre il processo Ndrangheta stragista della procura di Reggio Calabria si è occupata per quanto riguarda le vicende degli anni 90-91 (si veda il recente articolo de Il Corriere della Calabria di Pablo Petrasso del 26/11/21)
Lo indicano ormai tante inchieste giudiziarie e i fatti di cronaca.
Dapprima indagato per concorso in associazione a delinquere per il periodo fino al 28 settembre 1982 e per concorso in associazione mafiosa per il periodo successivo a tale data (solo da quell’anno il delitto di associazione mafiosa entrava ufficialmente nel codice penale italiano), contro Andreotti il 13 Maggio 1993 il Senato della Repubblica concesse l’autorizzazione a procedere. Il 2 Marzo 1995 viene rinviato a giudizio per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa Cosa Nostra. In primo grado, il 23 Ottobre 1999, Giulio Andreotti verrà assolto per insufficienza di prove dalla quinta sezione penale del Tribunale di Palermo. Nel 2003 la sentenza di appello giudica il 7 volte presidente del Consiglio responsabile del reato di associazione per delinquere con Cosa Nostra fino al 1980, prescritto invece per gli anni successivi. NB: prescrizione e assoluzione sono due cose diverse.
Ne scrive per la prima volta Paolo Pollichieni ne Il Corriere della Calabria
Uomo-cerniera fra criminalità organizzata, mondo politico e massonerie indicato tale da più collaboratori e dallo stesso Siino. Cafari è stato coinvolto anche nelle indagini sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Il suo ruolo infatti in questo come in altri non è mai stato davvero chiarito sebbene compaia spesso. Ne scrivo qui oltre che in “Criminalità servente”.
Stefano Bontate, boss appartenente al triumvirato composto anche da Badalamenti e Liggio che comandava Cosa Nostra prima della guerra messa in atto da Totò Riina.
Uno dei protagonisti della svolta avvenuta in seno alla organizzazione criminale calabrese nella seconda metà degli anni ‘70. Capo della cosca De Stefano, sopravvissuto alla prima guerra di ‘ndrangheta ma non alla seconda, morì in un agguato nel 1985.
Il cui secondo grado, in contrasto con il primo, si è concluso con la sentenza del settembre 2021 che ha assolto gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato, perché "il fatto non costituisce reato" e l'ex senatore Marcello Dell'Utri "per non aver commesso il fatto". Mentre tra prescrizioni e conferme di condanne ha sigillato le accuse già comminate ai mafiosi in primo grado.
Dal capitolo Il Caso De Donno-Lo Forte, pagg. 159-167.
Ordinanza di archiviazione Siino-De Donno-Lo Forte, luglio 1999 nei confronti dei dottori Pietro Giammanco, Guido Lo Forte, Giuseppe Pignatone ed Ignazio De Francisci e di Giuseppe De Donno e Angelo Siino.
Produzione Riservata
Una tra le cose più sorprendenti che ho sempre notato in alcuni giornalisti e politici è la seguente (ad esempio) "Non possiamo dar credito a persone come Spatuzza per ricostruire i fatti è uno che ha ucciso dei bimbi" . Se i magistrati che seguono un caso fanno indagini veramente ben fatte e hanno la volontà di andare a fondo, quali migliori soggetti da interrogare se non le persone che hanno messo le "mani nella marmellata" avuto rapporti stretti con criminali e molto altro. Buscetta docet da questo punto di vista e credo possa valere per Siino come per tanti altri personaggi che hanno abitato quei mondi criminali.