Ustica: l'inchiesta inabissata di Paolo Borsellino
A 43 anni dai fatti alcune dichiarazioni dell'ex Primo Ministro Giuliano Amato riportano alla luce i fantasmi mai scacciati di verità taciute. Pochi sanno che Borsellino s'imbatté nel caso.
I fatti, le inchieste giudiziarie e le dichiarazioni. Per indicare quanto accaduto sul mar Tirreno, a nord dell’isola di Ustica, la sera del 27 giugno del 1980, quando tra le 20:59 e le 21:04, i radar e le torri di controllo persero il contatto con l’aereo civile italiano DC9 Itavia con a bordo 81 persone (77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio), si fa spesso ricorso a parole come tragedia e disastro, come a indicare un evento che è sfuggito, toh, al destino o all’incuria. Ma la parola giusta da usare è Strage, che definisce con esattezza sia l’atto voluto per abbattere un velivolo con all’interno 81 innocenti, sia la gravità e la portata del fatto in sé. A livello giudiziario, tuttavia, non è ancora arrivata una sentenza unanime che lo certifichi, se si sono alternati nel tempo diciannove anni di indagini e diversi processi, penali e civili. Ad aggiungersi a questo strato di verità multiformi, oltre a tutta una serie di depistaggi che continuano a sommarsi, anche un’ultima inchiesta aperta presso la Procura di Roma nel 2008 che sta ancora indagando sulla vicenda e che come rivelato giorni orsono sembrava procedere verso l’archiviazione. Per 15 anni, infatti, i magistrati della Capitale hanno cercato, tra rogatorie, acquisizioni di atti, analisi di documenti e audizioni, di arrivare ad una verità. A sovvertire questa direzione di inabissamento potrebbe influire però quanto dichiarato nei giorni scorsi dall’ex Primo Ministro Giuliano Amato che sostanzialmente ha accusato la Francia di silenzi e omertà visto che secondo le sue parole (ricalcanti quelle di Cossiga del 2008, ma arricchite dalla sua esperienza in qualità di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che se ne occupò sei anni dopo i fatti) ad abbattere il DC9 fu un missile francese. Va detto che la tesi non è nuova (come potrebbe del resto dopo appunto 19 anni di indagini?) e che già nel 2008 la Procura di Roma aveva sentito lo stesso Amato in seguito alle dichiarazioni proprio dell'ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga che per la prima volta indicò quella pista. Durante l’intervista Amato, pur non rispondendo ad alcune domande in modo diretto (come a esempio da chi avesse ricevuto elementi concreti per poter dichiarare una cosa simile né il perché sia avvenuto tutto) non salva nemmeno la stessa Nato, complice - secondo le sue parole - di altrettante omertà e silenzi, come organo che non poteva non sapere cosa stesse accadendo su quei cieli quella sera, dove sfrecciavano segretamente i velivoli militari di diversi Paesi quali l’Italia, Malta, Libia, La Francia e non ultimi gli Stati Uniti.
A concludere intanto che il DC9 Itavia si è schiantato a seguito di “un’azione militare di intercettamento” è stato il Tribunale di Roma con una sentenza ordinanza del 1999 (Procedimento Penale Nr. 527/84 A.G.I.). Dal punto di vista giudiziario, in ogni caso, si è aperta un’ulteriore spaccatura se consideriamo che mentre le sentenze civili concordano nel ritenere che il DC-9 Itavia sia stato abbattuto da un missile aria-aria, la sentenza ordinanza del giudice Rosario Priore, sopra indicata, ritiene plausibile anche lo scenario secondo cui l’aereo sia caduto in seguito a una quasi collisione con un jet militare che (mentre si trovava ndr) in manovra d’attacco lo avrebbe sfiorato ad altissima velocità, provocando un effetto simile a quello dell’esplosione.”
L’inchiesta di Paolo Borsellino. A indagare su uno dei tanti buchi neri dell’inchiesta fu anche Paolo Borsellino, il magistrato poi ucciso nell'attentato di via D'Amelio nel 1992. Quando era a capo della Procura di Marsala, dove rimase dal 1986 al 1992, l’interesse di Borsellino fu richiamato da una telefonata alla trasmissione "Telefono giallo" condotta da Corrado Augias su Rai 3 (qui è possibile riascoltarla) dove intervenne anche lo stesso Amato.
Era il 6 maggio 1988. Nel corso di una telefonata una persona si presentò come un aviere che era in servizio al centro radar di Marsala la sera del 27 giugno 1980 e che disse che doveva comunicare "elementi molto pesanti". I militari avevano "visto perfettamente i tracciati" negati invece dai vertici dell'Aeronautica militare. "Solo che il giorno dopo - aggiunse il presunto aviere - il maresciallo responsabile del servizio ci disse di farci gli affari nostri e di non avere più seguito in quella vicenda.... La verità è questa: ci fu ordinato di starci zitti". Dopo otto anni, dunque, un "fatto emotivo interiore", come indicato dallo stesso presunto aviere, aveva indotto il testimone a chiamare "Telefono giallo" in forma anonima riattaccando rapidamente quando Augias tentò di approfondire la rivelazione. Il giorno dopo Borsellino aprì un filone d'indagine su un aspetto cruciale di quanto accaduto a 25.000 piedi da terra quella sera di giugno. Borsellino affidò al sostituto Giuseppe Salvo e al Maresciallo Carmelo Canale (allora comandante del nucleo di Polizia giudiziaria di Marsala) gli interrogatori dei militari in servizio nella città la sera della strage, ma non riuscì a trovare elementi consistenti a livello penale, così la sua inchiesta, che fu acquisita poi a Roma dal sostituto procuratore Vittorio Bucarelli titolare dell’inchiesta al tempo (e citato nell’intervista da Amato in maniera non proprio lusinghiera), perse ogni possibilità di essere approfondita andandosi a confondere con le altre piste. Con Bucarelli, Giuliano Amato ha dichiarato di aver avuto “un rapporto piuttosto burrascoso”. Aggiungendo poi che: “qualche anno dopo sarebbe arrivato a querelarmi. Davanti alla commissione stragi, nel 1990, dissi che esistevano delle fotografie del relitto scattate dagli americani prima del recupero (del Mig libico anche precipitato ndr), circostanza di cui ero stato messo al corrente proprio dal giudice Bucarelli. Ma questi negò di avermelo detto. E davanti alla mia insistenza decise querelarmi, lasciando il suo incarico».
Dopo la telefonata a Telefono Giallo sono anche intervenute alcune smentite da parte di personale militare, come quella di Salvatore Loi, maresciallo dell’Aeronautica al tempo e in quei giorni in servizio al radar di Marsala. La smentita arrivò a seguito di alcune notizie stampa che indicavano proprio il suo nome. Ma, Loi a parte, se è vero che ai militari fu ordinato di tacere anche le smentite potevano arrivare con lo stesso scopo. Questo al netto del non coinvolgimento di Loi. Di fatto sembra non si procedette a effettuare un riscontro tecnico, per esempio, tra la voce della telefonata e quelle dei militari sentiti. Fatto che sarebbe dovuto spettare poi alla Procura di Roma: in tutto furono oltre 14 i militari sentiti dalla procura di Marsala. Nelle ultime ore il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli ha rilasciato una nota significativa riguardo gli atti prodotti da Paolo Borsellino nel 1988, annunciando che condividerà, con “l’intero Consiglio Superiore, di valutare l’opportunità di avanzare alla Procura della Repubblica di Marsala la richiesta di rendere accessibili tutti gli atti del procedimento di potenziale interesse di quell’inchiesta, nonché il compendio documentale delle iniziative portate avanti dal dottor Borsellino all’epoca”.
Nel Paese delle verità monche ogni tanto si aprono squarci che però spesso fanno presto a richiudersi. Speriamo non sia così per Ustica.