Chi è Francesco Delfino, l'uomo della foto (presunta) di Salvatore Baiardo
Dopo il terremoto che ha coinvolto la trasmissione Non è l’Arena prodotta dalla società Fremantle e chiusa all’improvviso dall’editore di La7, Urbano Cairo (terremoto che ha travolto il suo stesso conduttore Massimo Giletti di cui tutti i media parlano) questa pagina è tornata per raccontarvi chi era il generale Francesco Delfino, l’uomo della foto che sarebbe stata mostrata dal testimone controverso Salvatore Baiardo a Giletti stesso, e nella quale a comparire sarebbero anche Silvio Berlusconi e il boss Giuseppe Graviano. Intanto questa che vi mostro è una foto del 1993 che se esiste l’immagine del ricatto (come la definisco io) si potrebbe confrontare con quella di Baiardo. La foto risale al 15 ottobre 1993 e apparve su L’Unità quando il generale ricevette l’avviso di garanzia per favoreggiamento nelle indagini allora aperte a Roma sul Caso Moro. La sua posizione fu poi archiviata.
Nel frattempo dopo un anno di collaborazione con il settimanale The Post Internazionale, da gennaio 2023 ho iniziato la mia collaborazione con L’Espresso sul quale ho cominciato con due articoli esclusivi sulle stragi del 1993. Per chi volesse leggerli si trovano ora sul sito qui e qui.
Le ultime su Francesco Delfino. Intanto di Francesco Delfino si è tornati a parlare di recente, ma come al solito in sordina: quando nel febbraio 2022 è stata desecretata una sua audizione del 25 giugno 1997 rilasciata in Commissione stragi e relativamente alla strage di Piazza della Loggia (1974), in cui l’ex generale, allora a capo del Nucleo operativo dei carabinieri, parlò di "Fascicoli personali permanenti", relativi a "soggetti imputati, indiziati o altro", "conservati" presso il comando generale dell'Arma dei carabinieri che "potrebbero consentire di ricostruire molto lontanamente i periodi" degli anni di piombo. Delfino, oltre a essere stato il vero regista della cattura di Totò Riina nel gennaio del 1993, è stato tante cose e il suo ruolo occulto l’ho ricostruito a partire dalla strage di Via Fani nel mio libro inchiesta La Criminalità servente nel Caso Moro (La nave di Teseo 2018). Qui pubblico l’estratto.
Il ruolo di Francesco Delfino
È necessario, a questo punto, tornare su Francesco Delfino per posare la lente d’ingrandimento sugli anfratti di quegli avvenimenti che spesso sfuggono a una ricostruzione. Dopo le rivelazioni di Morabito, a Roma la Procura apre una inchiesta in cui viene approfondito il ruolo di Francesco Delfino perché questi, secondo Morabito, aveva come con- fidente proprio Antonio Nirta. Una circostanza smentita da Delfino stesso durante l’interrogatorio reso al pm Nobili l’11 novembre 1993. Così il giudice per le indagini preliminari (gip) Guido Piffer archivierà a Milano il procedimento nei confronti dell’ufficiale. Un’archiviazione indicata nella sua redazione con molta perplessità. Perplessità che però non è espressa nei confronti di Morabito.
I magistrati romani sentiranno Delfino anche durante il Moro V, ricevendo le stesse dichiarazioni. Anzi, in quei giorni in cui le notizie si rincorrono su tutti i media riguardo a questa storia, il generale Delfino si difenderà affermando di non aver mai nemmeno conosciuto Nirta e, anzi, d’accordo con il suo avvocato di allora, Raffaele Della Valle, rende nota una dichiarazione:
«Per quanto riguarda Nirta il generale Delfino ha escluso in modo tassativo e categorico di averlo mai conosciuto e tantomeno di averlo mai utilizzato come suo confidente. Ha altresì precisato di non essere in grado di escludere in linea teorica che il Nirta possa essere stato da altri utilizzato come confidente, tanto più che nell’ambiente dell’Ar- ma, ovviamente in epoca successiva, sono corse voci in tal senso»
Delfino non esclude dunque l’utilizzo di Nirta come infiltrato, ma se ne tira fuori, negando di averlo sfruttato in tal senso in prima persona. E anche Nirta, dal canto suo, nel tempo (durante le pochissime dichiarazioni da lui rila- sciate) opera nello stesso modo, lanciando messaggi per poi tirarsi indietro. Mentre il “Caso Nirta” si allargava sempre più nel Caso Moro, si è cercato di dimostrare che, al tempo della strage di via Fani, “Due nasi” si trovasse in carcere. Ci prova il fratello dell’ex generale Delfino, Antonio, che entra un po’ di lato in questa storia quando alcune accuse lo raggiungono per altre vicende legate alla ’ndrangheta. È proprio lui, lo stimatissimo giornalista di Platì, a dichiarare di aver accertato che nei giorni del sequestro Moro Antonio Nirta “era certamente in carcere”.
Ma è il casellario giudiziale di Nirta a certificare la verità riportando la data effettiva del primo arresto, e cioè il 15 settembre 1978: ben sei mesi dopo l’agguato, dunque. Esiste poi, a conferma di questo dato, un’intervista riportata sul “Corriere della Sera” il 19 ottobre 1993 dell’ex deputato dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio allo stesso Antonio Nirta, il quale, allora detenuto a Carinola (Caserta), afferma proprio: “Sono in carcere dal settembre 1978.” Ed è l’unica informazione certa da lui pronunciata, poiché, in merito alle accuse di infiltrazione e di coinvolgimento nei fatti di via Fani, per le quali Pecoraro Scanio lo aveva sentito, pronuncia soltanto poche parole sibilline: “So quello che adesso dicono di me. Dicono... e vabbè se ci sarà un inter- rogatorio ne parleremo. Spero comunque che non ci sia.” Alla trasmissione Le Iene, che lo individua nel maggio 2017, si rivolgerà nello stesso modo, finendo poi col dichiarare che tutto su di lui è da sempre menzogna, anche le accuse di mafia. Nel suo calderone, Nirta butta tutto e il contrario di tutto. La Commissione non l’ha interrogato successivamente a quella intervista, o se lo ha fatto non è stato reso noto e certo non compare nell’ultima relazione del dicembre 2017. Per quanto riguarda le sintesi di quella relazione, è il caso di parlare di “scomparsa della ’ndrangheta” dal Caso Moro.
Ma proseguiamo con la cronologia di quell’inchiesta. Nel 1998, il generale verrà arrestato per la vicenda del sequestro Soffiantini, e la storia br-Nirta emergerà nuovamente quando sull’“Unità”, a tre anni di distanza, verranno riportate le considerazioni che il pm Antonio Marini (che aveva indagato nel procedimento aperto a Roma contro Nirta) aveva rilasciato alla Commissione stragi (1995): una considerazione (non certo una certezza giuridica) secondo cui Delfino era riuscito a sapere che Casimirri “stava organizzando non un comune sequestro ma il rapimento del presidente della dc e allora lo passò al sismi. Il sismi gli avrebbe fatto fare l’operazione, lo avrebbe avuto come in- filtrato, avrebbe saputo tutto quel che voleva sapere su via Fani e sulla prigione di Moro e poi lo avrebbe fatto fuggire all’estero”. Continua Marini:
«Vi è poi un aspetto molto delicato che riguarda il procedimento contro Antonio Nirta e che si riferisce ad Alessio Casimirri. Dobbiamo decidere tra due versioni acquisite al processo. Secondo la prima Antonio Nirta era il confidente di un certo capitano dei carabinieri che operava nel settore dei sequestri di persona. Nirta avrebbe fatto fare una serie di operazioni a questo ex capitano dei carabinieri. Poi si dice che Antonio Nirta sarebbe stato messo a via Fani per partecipare al sequestro Moro [...]. Secondo un’altra ipotesi, Antonio Nirta avrebbe fatto compiere operazioni all’ex capitano dei carabinieri che, a sua volta, si sarebbe accorto che l’uomo fermato non era un comune sequestratore di persone ma addirittura un terrorista che si identificava in Alessio Casimirri70 e, resosi conto che si trattava di un brigatista, riuscì a sapere che stava organizzando non un comune sequestro ma il sequestro del presidente della dc Aldo Moro e allora lo passò al sismi. Il sismi gli avrebbe fatto fare l’operazione, lo avrebbe avuto come infiltrato, avrebbe saputo tutto quel che voleva sapere su via Fani e sulla pri- gione di Moro e poi lo avrebbe fatto fuggire all’estero»
Sono ipotesi nate mentre il magistrato indagava sulla presenza di una moto Honda in via Fani, indagine poi archiviata anche nel 2014 non senza reticenza e dubbio da parte della Procura generale di Roma. [Aggiungo io oggi aprile 2023 che questa questione è più di una ipotesi].
Ma i legami fra la famiglia Nirta e Delfino vengono fuori anche durante il processo per la strage di Brescia, soprattutto nelle udienze del 2008, durante le quali i collaboratori di giustizia di ’ndrangheta ne parlano come di un soggetto in rapporto con Nirta e con la destra eversiva. Ma attenzione: non c’è “pregiudizio ideologico” da parte della ’ndrangheta (approfondiremo a breve questo aspetto). Infatti, sebbene i maggiori legami sin dai moti di Reggio Calabria del 1970 vedono allineati estrema destra e criminalità organizzata calabrese, quando necessario non vi sono preclusioni di sorta. Ecco perché non si può fare un discorso ideologico aprioristico sulla vicenda ’ndrangheta-br e affermare che i legami tra malavita, criminalità organizzata ed eversione di sinistra non siano possibili. Armi, traffici di vario tipo, documenti: tutto è necessario a organizzazioni criminali o terroristiche. Lombardo, infatti, nell’audizione del settembre 2017 stigmatizza:
«L’uomo su cui la Commissione deve appuntare la sua attenzione proprio per capire che non c’è colore politico è l’avvocato Paolo Romeo. L’avvocato Paolo Romeo nasce soggetto di destra estre- ma e con un certo ruolo (questo viene ricostruito in “Mamma- santissima” ed è molto più dettagliato) già ai tempi dei moti di Reggio e nella fase immediatamente successiva, ma poi diventa parlamentare socialdemocratico, mantenendo esattamente lo stesso tipo di rapporti e di funzione (mi passi questo termine). È uno dei soggetti che abbiamo a processo, e secondo me è quello il modello su cui poi si possono innestare determinate situazioni. [...] Romeo è quello della vicenda Freda, quindi ha tutto un percorso particolare che attualizziamo fino ai nostri giorni, per dire che insieme ad altri rimane la testa pensante di determinate situazioni; e, se quella componente riservata, quella componente superiore, ha questa funzione, io ritengo che se la stessa componente, che non ha a che fare con Romeo all’epoca, ma che all’epoca esisteva, aveva la stessa funzione, è la componente che può aver gestito la presenza di Antonio Nirta “Due nasi” in via Fani»
Ma chi è Paolo Romeo? Una breve parentesi biografica è qui necessaria per inquadrare il modo in cui l’organizzazione si muove e utilizza per i suoi scopi alcuni uomini-perno [o cerniera]. Avvocato, eletto deputato nel 1992 per il Partito socialista democratico italiano, è stato coinvolto nell’operazione Olimpia 1 e arrestato nel luglio 1995. Un pentito di ’ndrangheta lo aveva definito il “Salvo Lima reggino”. […]
[DISCLAIMER: Rispetto a questo quadro su Romeo sono intervenute nel frattempo altre sentenze]
Spiegheremo ulteriormente le implicazioni dei nomi fatti da Lombardo e la parentesi di storia che li riguarda, rilevanti per comprendere come e dove tutto si annida. Sono le parole rivolte alla commissione Moro II da un magistrato sempre in prima linea contro la criminalità organizzata, ignorate dai media anche di recente, quando le notizie sulle indagini della Commissione Moro sono finite sulle pagine dei mainstream e non. Sono queste dichiarazioni la chiave di volta: è qui che siamo arrivati, partendo dal verbale di un ex camorrista nelle primissime pagine di questo libro. È la costante criminale, è lo strumento di sistemi di potere che a sua volta, all’occorrenza, strumentalizza chi con essa collabora.